‘My personal religion set me free long ago. I am no respecter of any single faith in its totality. I pick and choose as I please. All religions were creatures of their times and evolved to meet prevailing social and economic needs.

To describe them as eternal truths for all time to come is sheer bunkum.  
But alongside all that is irrational, absurd and dangerous in every religion, there is also some good sense and nobility. It is the same with prophets and saints, as it is with philosophers, scientists and political leaders.
Once you have decided not to bow to any gods, and if you have a good bullshit detector, it is possible to separate the sublime from the ridiculous and derive inspiration from the words of prophets and poets, gurus and rogues, grave men and clowns.
There is a lot to be learned from both the sacred and the profane.
I have done that nearly all my life…’


Buon Natale a te, compagno/a di cammino fra le pagine e la musica che suonano. 
Che sia musica di piena libertà. Di pensiero e azione. Di chiarezza mentale e apertura di cuore al nuovo della Vita che sta per arrivare.


The Freethinker’s Prayer Book – Khushwant Singh
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La incontro in una soffocante mattina di inizio estate. Mi ha cercata lei, ha letto un romanzo su cui ho lavorato parecchio, tempo fa. Mi scrive che ha assolutamente bisogno di me per discutere un progetto i cui contenuti le sono chiari, ma non le modalità della narrazione. 
Mi colpisce la sua semplicità, la silenziosa competenza che ci sta dietro. Quella di chi non ha bisogno di gonfiare niente.
E non so ancora chi avrò davanti.

Entra in casa mia goffa e trafelata (e io subito mi riconosco nei miei giorni più arruffati).
Entra.
Una ventata di aria buona, calda e avvolgente, energia pura che si sprigiona nelle stanze con la sua elettrica sferzata di indomabile follia. Fa la giornalista da tanti anni, e da altrettanti si occupa di mafia, di malaffari, di oscurità che attraversano la storia d’Italia. Sono il suo pallino, la sua ricerca della Verità, la sua palestra per imparare a spingersi oltre le mezze verità vendute al discount delle soluzioni comode per chi di domande non se ne fa mai. Palestra dura per allenarsi ad accettare che a volte non arrivi ad afferrarla, la Verità. E, dovessi anche riuscirci, non la potrai mai urlare come vorresti.
Eppure non smettere di cercarla resta un dovere. Il tuo.

Ha in testa di scrivere un libro particolare, e per questo chiede un confronto con me.
Io di mafia non so niente, ma non è questo il punto. Lei sa bene cosa vuole. Il punto è saper raccontare, trovare armonia/ritmo/suono giusti per dire ciò che ha da dire. Il punto è trovare la musica di parole che restituisca il senso della narrazione che le scorre dentro. Una che scrive da 30 anni ha l’umiltà di domandarsi come fare a trovarla... sei una rarità, sorella. Chapeau.
E allora ci parliamo, beviamo caffè e fumiamo una sigaretta dietro l’altra immaginando lo sviluppo del progetto, diamo voce a sensazioni e intuizioni, poi ci perdiamo in confidenze  sui nostri figli mentre camminiamo lungo il Naviglio come due mamme normali (che non siamo mai state). Buttiamo giù tracce e parole. Ci lasciamo qualcosa una dell’altra.
Poi silenzio. Ognuna per la sua strada.

Passa un anno e mezzo. Con un messaggio sul mio cellulare, Raffaella mi avverte della presentazione del suo libro Intervista a cosa nostra. E io mi emoziono come una bambina. Ce l’hai fatta, Raffaella Fanelli, ce l’hai fatta…
Arrivo alla conferenza stampa con lo stesso comico impaccio del suo primo approccio con me. So che ci riconosceremo a una rapida occhiata da lontano. Mentre prendo il suo libro tra le mani, la vedo là in fondo alla sala che parla - “la mafia non è questi quattro contadini... è ben altro…”, calma, padrona di sé, con quella sua semplicità densa di contenuti tangibili - davanti a una platea attenta, concentrata, reattiva.
Il suo progetto è cambiato (lei ha il coraggio del cambiamento, della rivoluzione) e si è esteso, ma non ha perso l’intenzione di fondo. Raccontare per andarci dentro. 
Niente paura. O meglio, il passo deciso per superarla. La paura.

Lo sguardo di una Donna sulla mafia non è quello di uomo, non può esserlo. E’ quello di una che potrebbe essere madre-sorella-figlia-amante di creature brutali.
E non se lo dimentica.
Così Raffaella porta nelle sue pagine un’anima diversa dal solito.

‘Quando il cellulare comincia a vibrare sul comodino sono già sveglia. Ormai ce l’ho dentro, come un impulso automatico alle cinque apro gli occhi.
Ho già l’ansia. E anche l’ansia per me è un’abitudine.
… La pioggia continua a cadere fitta, sto quasi per addormentarmi, con la testa china sulla spalla destra, quando sorpassiamo un camion con un’enorme foto della Madonna illuminata a festa da lucine intermittenti, simili a quelle degli alberi di Natale, e penso che sono passati tredici anni da quando ho messo piede l’ultima volta in una chiesa. Eppure, prima di un’intervista “complicata”, una preghiera ci scappa, quasi come una sorta di rito di riconciliazione.’

Ventitré interviste a pentiti, collaboratori di giustizia, uomini della mafia o a essa in qualche modo legati (gente come Angelo Provenzano, Salvo Riina, Licio Gelli), e poi i familiari delle vittime e il racconto di come li incontra/li vede lei.
Tutti sullo stesso piano. Tutti restituiti con quell‘impeccabile, delicato equilibrio tra necessario distacco da giornalista e adulto coinvolgimento da persona che ha davanti una persona. Lei sa entrare con il cuore nella loro vita in punta di piedi, senza farsi incantare, senza giudicare a priori. Perfettamente lucida.
Il focus è sul periodo delle stragi, quello della trattativa Stato-Mafia “che non si è mai fermata”, e su un processo ancora in corso “che non porterà a niente, o meglio non porterà alla condanna dei veri mandanti, perché a essere condannati saranno ancora una volta soltanto i boss mafiosi”.
Nessuna concessione scandalistica, solo conoscenza inattaccabile dei dati di fatto da vera cronista: nel libro non si sbandierano i nomi dei mandanti, ma si suggerisce per esempio chi all’epoca decise di fermare la corsa al Quirinale di Andreotti, o il perché Salvo Riina chiama lo studio legale di Schifani… Per chi non si accontenta delle mezze o false verità, son cose con un gran bel peso specifico.
Una ricerca seria, appassionata, vibrante. Ti lascia stordito, ti suscita domande che non ti eri mai posto. Lo sa bene Salvuccio, che ha subito chiesto il sequestro del libro, e non è una bella cosa scontentare uno che di cognome fa Riina. Ti regala parecchie notti insonni. Non è certo la medicina più indicata per l’ansia. L’autrice lo sa bene.
Eppure.

Quando ci parliamo a presentazione conclusa, Raffaella mi dice che oggi sta aspettando di poter intervistare la Primula Rossa, il latitante dei latitanti, il nuovo capo… Io, beata ignoranza, non so neanche di chi stia parlando, ma sostengo con tutte le mie forze questa sua passione, questa sua estrema professionalità, questo suo coraggio incosciente e puro che non la fa mollare mai. Nonostante - come tutte le anime indipendenti - non abbia il culo al caldo in qualche solida redazione dall’indirizzo sicuro.
E mi vengono in mente tutte quelle donnette e gli omuncoli di terza classe, ma provvisti di santi in paradiso, che se la tirano tanto perché hanno conservato la loro poltroncina più o meno comoda nei media dai nomi altisonanti, mentre gli altri arrancano nella giungla della crisi. E mi viene in mente la psicologa che mi sedeva accanto due settimane fa a una tavola rotonda sui libri come terapia, ambiziosa ragazzona senza la minima esperienza sul campo, che tuttavia si sa vendere così bene ai giornali da averne intortati già almeno un paio  (ma il pubblico, no, quello non si può intortare, sorry darling).
E’ un mondo tutto alla rovescia.
Però poi.

Leggo i ringraziamenti in testa a Intervista a cosa nostra e ritrovo quella pulizia del cuore, quel senso di gratitudine profonda che abita solo nelle anime grandi. E nei veri professionisti.
E allora, Raffaella Fanelli, strampalata creatura in cerca della sua wordmusic, volevo dirti…    
le hai trovate, le parole che cercavi, le hai trovate. La tua musica suona chiara e forte. Come sei tu.

Intervista a cosa nostra – Raffaella Fanelli (Edizioni Anordest)

‘…c’è una musica adatta per la distensione, l’attivazione, la nevralgia, smettere di fumare e ricominciare a mangiare, migliorare la riuscita in matematica e far ricrescere i capelli? Sono convinta di no, non esiste una panacea musicale se intesa come Chopin, Debussy o Sakamoto.’

Spinta da un fuoco sacro che conosco bene, ma non frequentavo da qualche tempo (mai disperare: il.fuoco.se.ce.l’hai.dentro.torna.sempre), ieri sera mi siedo in vibrante attesa alla presentazione di un libro per addetti ai lavori in ambito musicale/psicoterapeutico.
Dopo poche battute di apertura, l’autrice si spinge immediatamente ad affermare con forza la sua convinzione di base e linea guida professionale, quella che ritrovo poi nel provocatorio attacco appena citato: non esiste una musica che va bene per tutti per curare questa o quest’altra patologia.

Luce.
Porti avanti la stessa battaglia che da anni combatto io a colpi di wordmusic, sorella ricercatrice: non esiste un libro che cura l’ansia o la depressione - pure stronzate per farsi un nome sui giornali.
Ci sono piuttosto frammenti che ci incontrano, ci parlano, ci feriscono/avvolgono/sollevano/illuminano. Che suonano una loro musica speciale per me/per te che mi leggi.
Qui e ora. Ieri sarebbe stato diverso. Domani lo sarà.
E andare a scovare proprio quelli non è operazione seriale. E’ quotidiano allenamento personale. Quello che cerco di coltivare nella mia vita e di trasmettere poi a chi fa un percorso con me. Sentiero impervio di musica delle parole. Già tracciato. Da tracciare.

Vorrei subito alzarmi e correre ad abbracciarla, l'autrice benedetta. Ma sono tutti molto seri e compiti - siamo all’OPL, Ordine degli Psicologi della Lombardia - e mi vesto del contegno consono alla situazione.
Oggi però, nel mio sporadico diario di bordo, lascio da parte il contegno.
Lascio libero l’abbraccio.

Sono anni che mi rifiuto di partecipare al circo delle facili ricette di biblioterapia da supermercato e mi incaponisco nella mia testarda ricerca di suono/senso/ritmo attraverso le pagine dei libri e la musica che suonano. Perché ognuno trovi la sua. Che cambia come cambia la vita. La devi cercare. Ascoltare, sopra i rumori di fondo. Far vibrare. Seguire. Trasformare.

Viaggio in solitaria, il mio.

Molto più facile dare in pasto ai media l’elenco della spesa: leggi questo libro che ti fa bene, evita quest’altro che ti fa male. Ma che ne sai tu che non mi conosci nemmeno? Eppure i giornalisti mi chiedono sempre le stesse cose, l’ultima quest’estate per un articolo sulla lettura come antistress… chissà se è mai uscito… io - la solita bastian cuntrari, come dice amaramente mio padre - mi sono sottratta all’ennesima richiesta di una lista di titoli ad hoc, certa che la volonterosa ex collega ne avrebbe trovate a dozzine da qualche altra parte. C’è un esercito di scalpitanti future star, tra gli psicologi. La semplificazione a uso e consumo dei media (non so nella pratica terapeutica, e voglio tanto sperare di no), la sua arma letale.

Mi capita di sentirmi una sfigata. Una Giovanna D’Arco senza arte né parte, in questo mio viaggio ‘fuori tribù, fuori scheda e catalogo’. Mi capita spesso.
Oggi no. Ho incrociato per la via viaggiatori come me, silenziosi tessitori di significato, di valore, di musica autentica per l’anima.
Come sempre, la mia immensa gratitudine.

E’ il 2 ottobre. L’inverno arriva e il tono del mio umore lo sente. Non posso evitarlo.
Ma ho voglia di lottare. Voglia di musica nuova da attraversare.
E non è poco.


Percorsi d’ascolto - architetture sonore e sviluppo della percezione di sé
Barbara Eleonora Pozzoli (ed. Rugginenti)

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Costretta a riflettere poco per tenere testa a un cambiamento epocale. 
In questa estate così diversa dalla scorsa.
Poche parole, possibilmente quelle giuste. Tanti fatti.
Poco tempo per arrampicarmi (e scivolare) su pensieri miei.
Poco per leggere. Troppo poco, ma capita. E forse ogni tanto ti fa pure un gran bene sospendere i tuoi privati silenzi quotidiani. Fa spazio ad altro.

L’altro che si affaccia è una dimensione così nuova che devo ancora abituarmi a contemplarla nel mio vocabolario esistenziale. Non è registrata da nessuna parte - tra le cose che conosco - e mi spiazza. Mi spaventa. Sembra spazzare via ciò che sono stata fino a oggi. Si può cambiare il corso di una vita a quasi 50 anni?

Mentre la domanda preme sullo stomaco e rende difficile la digestione, dietro lo spavento riconosco quanto senso abbia addestrarsi a ciò che il buddismo tibetano chiama equanimità. L’aprire le porte a tutto senza pre-giudizi.
Semplicemente STARE.
Ma cosa cazzo significa stare?

L’estate non è affatto mistica, quest’anno. Mi viene il fiato corto, sulle vette dei pensieri alti. Eppure mi porto sempre dietro il libro di una monaca tibetana di rara intelligenza, che scrive cose così:

‘L’equanimità diventa incrollabile solo quando impariamo a stare nei luoghi che ci spaventano’

Non l'afferro. Mi irrita. Poi, ancora una volta, la musica delle parole torna a suonarmi dentro.     E io, all’improvviso, capisco. 



Pema Chodron - Consigli a un guerriero compassionevole


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