ci sono parole che ritmano il tuo passo
come una condanna come una musica costante


.stay hungry
stay foolish.




non serve leggere tutti i libri del mondo
basta lasciarsi attraversare dalla wordmusic che ti racconta chi sei
e avere le palle di seguirla


Steve Jobs - Stanford - June 2005
oggi 6 ottobre 2011





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fine estate 2011

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Quando si ferma tutto, ti sembra siano assolutamente necessarie risposte certe per ripartire.

Io oggi non ne ho.

Riparto da una domanda, quella di un artista che ne ha fatto un'istallazione aperta alle risposte di chi ha voglia di lasciarsi trapassare. Perché la domanda di Emanuele Cazzaniga (www.aionearte.it) trapassa lo stomaco e la mente e i ricordi e le speranze.

Wordmusic tosta per ripartire. Ci provo.


INCHEMANISIAMO? INCHEMANISIAMO? INCHEMANISIAMO? INCHEMANISIAMO?

(lasciala suonare per un po' dentro di te, fratello viaggiatore)


Siamo nelle mani di ciò a cui sentiamo di appartenere.


Fa molto la differenza se sentiamo di appartenere a qualcosa/a qualcuno oppure no. E se ci appartiene oppure no. Una famiglia, una tribù, un partito, una religione, un contesto quale che sia, un percorso comune ad altri, una Casa che non sia eremo.

Belonging. Se c’è - o non c’è - questo ‘luogo’ di appartenenza, la storia è diversa per ognuno di noi. Un apolide fa decisamente più fatica, non è un eroe, è un uomo solo. Magari grande, ma solo. Smarrito.


Siamo nelle mani degli incontri che facciamo, dell’amore che ci viene dato o tolto, nelle mani delle persone a cui vogliamo bene. Se ci vogliono bene - oppure no - fa la differenza. Forse, alla fine, la più sostanziale.


Siamo nelle mani della nostra salute, del nostro corpo che funziona o si interrompe. Cambia il corso degli eventi, questo fatto. Capita spesso di dimenticarselo.


Siamo nelle mani della percezione che abbiamo di noi stessi, delle cose che abbiamo realizzato, dei sogni archiviati, della ventura o meno di esserci costruiti un’identità sociale/professionale/esistenziale. Un ruolo, una collocazione in cui riconoscerci ed essere riconosciuti. C’entra parecchio con il senso di appartenenza, e così incide. Sono le mani della memoria che abbiamo di noi stessi, l’unica immagine non fantasiosa di noi.


E poi, sì... siamo nelle mani del sistema di valori che ci è stato cucito addosso. Di quanto ci è andato stretto, di quanto siamo riusciti ad aggiustarcelo su misura facendo meno cazzate possibile.

Nelle mani del Paese e del ciclo storico in cui siamo stati catapultati per insondabile destino, nelle mani di piccoli dèi della mediocrità che tengono ben stretta la loro fetta di potere, e non c’è modo di strappargliela, quello è il loro gioco non il nostro, bisogna inventarsi qualcos’altro... bisogna.


Forse non serve inventarselo. E’ già qui.

Siamo nelle mani della Vita, questa Musica a movimenti alterni che fa suonare tutto questo groviglio di note, che ci tiene insieme mentre camminiamo nel mondo, che è energia e flusso costante e tempo che ci divora e ritmo che batte i nostri passi.

E, alla fine, mi pare sia poi tutta questione di consapevolezza e fede - che abbiamo maturato? perso? ritrovato? - nella nostra capacità di dirigere la Musica dentro di noi. O di abbandonarci con fiducia a mani più sapienti.


inchemanisiamo@gmail.com

www.aionearte.it

... mettiamola così
NON TUTTE LE CIAMBELLE VENGONO COL BUCO
e quella di the booktherapist-nuovo brand editoriale, che pubblica i suoi libri in collaborazione con un editore già sulla piazza con altri marchi, è decisamente venuta male

non è che si può dire in altro modo
si dice così com'è

ritardi surreali e, alla fine, davvero comici nella pubblicazione del primo libro
(nel frattempo, io comunico la buona novella ad amici giornalisti che ne scrivono...)
errori mastodontici, oltre l'immaginabile, di produzione e promozione
(io - creatura supertrasgressiva - sul lavoro sono una svizzera: ho dovuto attingere a un self control che non sapevo di avere)
beghe da donnetta isterica all'interno della casa editrice con cui metto in piedi l'operazione
(troppo virile per tollerare isterie uterine, perdo self control e mi ammalo per il disgusto)

perplessità/stupore/incredulità/sgomento/rabbia/amarezza/vergogna
questo il viaggio degli ultimi mesi
terre dure da attraversare
mentre spendi energia alla stato puro per realizzare un progetto in cui credi.
così mi è passata la voglia di parlare, di progettare, di credere
insomma. una vera catastrofe.

MA POI
HO INCONTRATO ALLAN KARLSSON
(la voglia di leggere non mi passa mai)
incontro esplosivo
ancora una volta la prospettiva si ribalta tra le pagine giuste
STOP ALL'ANGOSCIA - MI VIENE DA RIDERE
rido fino alle lacrime - e quelle pregresse si mettono a ballare
(in fondo ho soltanto scelto l'editore sbagliato per il mio progetto, niente di più, esistono più editori che panettieri ormai, se ne troverà un altro, che sarà mai... o, meglio, vado a fare la panettiera, ci penso da settimane, davvero non sto scherzando)

IL CENTENARIO CHE SALTò DALLA FINESTRA E SCOMPARVE
Jonas Jonasson (bompiani)
una festa per la mente, garantisco


luglio 2011
buona estate, fratello viaggiatore. goditela. le ciambelle - con o senza buco - nutrono sempre.

“Così non essere legati ad un contesto - contestare

così non aspettare revisione - restare condannati

così fuori tribù, fuori scheda o catalogo - essere salvati

come se Dio nascesse preghiera per preghiera,

come se ogni ostaggio impugnasse la storia,

come se ogni sillaba contestasse il poema”

ancora sulle possibilità per vivere – pseudobaudelaire, 1964 - Corrado Costa


aprile 2011. Fuori tribù. Fuori scheda o catalogo. Fuori. L'universo della wordmusic diventa oggi anche un marchio editoriale. The BookTherapist apre la sua casa ai libri che pubblicherà. Non ci posso credere. Ma sta capitando.

prima uscita a inizio giugno: Maledetti Uomini! di Sabrina Passerini



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Poi, all’improvviso, mentre sei lì a nuotare controcorrente forti bracciate di stanco coraggio/di intorpidita fiducia, mentre sei lì che annaspi già per i fatti tuoi e non sai più dove sbattere la testa e l’unica cosa che ti rassicura sono i tuoi amici, quelli veri, quei pochi.

Mentre sei lì.


Ti capita di perderne uno all’improvviso. Ti muore qualcuno che fa parte di te, della tua storia, della tua costruzione d’identità, della memoria di chi sei. Di come ci sei arrivato a essere ciò che sei.

Strappo violentissimo. Qualcosa di più di un incidente di percorso durante il cammino. Ti manca la terra sotto i piedi. Non è possibile - ti ripeti - non è vero.

E invece la vita funziona proprio così. Pare.

E allora...


IN MORTE DI UNA SORELLA

... allora cerco la wordmusic della mia amica Marisa tra lacrime silenziose, pagine che me la raccontino così come ce l’ho dentro io, che mi riportino la sua voce e le cose che diceva, mai inutili. La trovo. Non è roba per tutti. E bisogna rileggere tante volte per capire. E non è certo la lettura di lei che molti hanno avuto, ma è quello che lei ed io siamo sempre state, ognuna a modo suo:


“Così non essere legati ad un contesto - contestare

così non aspettare revisione - restare condannati

così fuori tribù, fuori scheda o catalogo - essere salvati

come se Dio nascesse preghiera per preghiera,

come se ogni ostaggio impugnasse la storia,

come se ogni sillaba contestasse il poema”

(ancora sulle possibilità per vivere – pseudobaudelaire, 1964)


Chi ha scritto queste righe - che mi sono arrivate da lei tanto tempo fa e mi appartengono da sempre - si chiama Corrado Costa, faceva l’avvocato ma era anche un grande artista. Aveva trovato, chissà con quale fatica, la strada per conciliare sogno e realtà, poesia e cronaca quotidiana “fuori tribù, fuori scheda o catalogo”. Come lei.


Marisa ha fatto la prof di lettere in una piccola città di provincia fino a ieri, ha coltivato autonomia di pensiero/anonimato/intelligenza/delicatezza/ironia senza mai doverlo sbandierare. Ha avuto in dono un grande amore perché l’ha saputo accogliere. Ha avuto il coraggio di dire alla vita nella stagione in cui tanti hanno già smesso da un pezzo. Una rivoluzionaria, così in fondo, da non avere alcun bisogno di indossare la divisa della ribelle.


Marisa mi ha messa in viaggio. Mi ha insegnato a sentire la musica delle parole, ha camminato ore con me - i campi e le storie della mia vita. Sincronia di passo - la nostra - su qualunque terreno ci si trovasse.

Senza poterlo immaginare, mi ha dato gli strumenti per diventare booktherapist. Se oggi sono quella che sono, una che ha imparato a leggere per leggersi dentro, lo devo a lei.


In morte di una sorella. Quando la morte si trasforma in vita.

Il canone è una forma musicale in cui si sovrappongono diverse voci. Tipo ‘fra martino campanaro’.
Il canone inverso è un canone in cui la melodia che segue quella che la precede si comporta in moto contrario rispetto a questa.

Cambio di rotta.

Moto contrario.

Nuova armonia.


Sto partendo. Più di un anno fa, nella rubrica che tenevo su un mensile - lo stesso viaggio attraverso la musica delle parole che continua qui, ma ora siamo dentro a tappe ben più evolute - scrivevo una pagina violenta, e la consegnavo appena prima di volare dall’altra parte del mondo.

...........


Un colpo micidiale, cos’è stato? Non piangere! Sul pavimento colano l’olio e il vino mischiati, la cucina si riempie come una barca che affonda... Lo tiro su e scivolo con lui in braccio. Per terra, tra i vetri, come due naufraghi. Piange, non si fermerà più. Non sono capace. Non sono nata per questo, sbagliata fin dall’inizio.”

A tutte le madri ‘sbagliate’. A tutti i padri che conoscono la straziante lucidità di non essere all’altezza. E a chi ama di amore cieco e sbatte contro il muro della propria inadeguatezza, dell’altrui indifferenza. Questo è un grido sovversivo per chi, almeno ogni tanto, ha il coraggio di urlare per non impazzire... si rasenta la pazzia per le piccole cose della vita, non servono sostanziosi moventi, bastano i rituali umani che si danno scontati per natura/cultura.

Io sono una di quelle madri sbagliate, una di quelle che fanno sussurrare tra loro le mamme perbene. Sfido proprio voi - con la ‘famigliamulinobianco’ stampata in faccia - a non esservi mai sentite così: “Ai tavoli dei bar, nelle strade, adulti ignari, liberi, fumano, chiacchierano con calma, senza fretta, hanno tutto il tempo che vogliono. Non sanno di essere dei privilegiati. Spingo il passeggino, anch’io ero come loro.”

Mentre mi leggi, sono già dall’altra parte del mondo a prendermi un respiro di libertà. Lui non è più nel passeggino, ha 12 anni e comincia a farsi gli affari suoi. Ma il tempo della vita è cambiato da quando c’è, come capita a tutti noi... sanguisughe da amare per forza, i figli. Ti insegnano troppo di te per non esserne eternamente grato. E schiavo. La schiavitù è impastata di riti famigliari, di condivisione forzata, di sforzi sovrumani per tenere insieme tutti i pezzi.

E allora io ogni tanto me ne vado dalla polveriera che ogni famiglia è. Me ne vado a piedi a scarpinare per due ore, salto su un treno o su un aereo. Oppure mi tuffo dentro un libro che mi accoglie così come sono. Comunque, mi concedo un viaggio. Fa sempre bene. Si torna indietro più leggeri e grati per ciò che si ha.”

...........


Sto partendo. Ma oggi parto con mio figlio. Non ho più bisogno di scappare via da lui.

Canone inverso.


A tutte le madri sbagliate: siete con me, in questo viaggio. Oggi so che quelle come noi si possono sentire all’improvviso libere, tenendo per mano un figlio. Si possono inventare viaggi che mai avrebbero immaginato. Proprio perché c’è lui a rovesciarti le mappe della vita.

A te, aristocratico fratello viaggiatore che mi hai appena dato la musica per raccontarlo, solo una cosa. Grazie.


Quando la notte - Cristina Comencini

‘Tira su il finestrino mentre i primi goccioloni di pioggia si spiaccicano sull’interno della portiera. La macchina si riempie del suo fumo e lei mi accarezza la gamba.….

E io vedo il grande giardino con la casa bianca con la stanza con le pareti coperte di dinosauri e un letto-macchina-da-corsa e scaffali interi di giocattoli, e schede piene di stelle, e una mamma e un papà sorridenti…

Lo vedo ripiegarsi su se stesso come una cartina stradale di quelle che si comprano dal benzinaio, e lo seppellisco e lo nascondo come una mappa del tesoro.

La macchina rallenta un po’, le gomme fischiano quando prende le curve sull’asfalto nero. Guardo il cielo da temporale, un blu-nero livido che ci insegue da vicino.’


Straziante narrazione di uno strappo violento, questa pagina di T.J. Leroy. Qui c’è un bambino che viene trascinato via dal suo mondo con la forza. Ma non è questo che ci importa ora - fratello viaggiatore.

Ci importa quello che la scena evoca, cosa muove dentro di noi quel e io vedo....

Corde emotive, immaginifiche, creative. Niente corde intellettuali, please, quelle non ci interessano sul pianeta della wordmusic.


La scena racconta l’esperienza/l’emozione dello strappo, ognuno di noi la conosce e ha dovuto farci i conti prima o poi. Io da poco, ancora.

Scrivo dopo che lo strappo si è prodotto, dopo che si è espresso con il suo sibilo sordo, e poi il suono rotto delle cose che ti si spezzano in mano in un istante. Il rumore dello strappo.

Quello che ci metti un po’ ad avvertire, quello che proprio non riesci a immaginare quanto ti ci vorrà per assorbirlo tutto. Non passerà mai, in genere la pensi così. L’ho fatto.


Così violento, questo ennesimo strappo alla mia vita, che ha reso necessario il bisturi e poi non bere/non mangiare/non respirare/restare lontana da tutto. Brusco cambio di ritmo. La malattia che ti costringe alla sospensione della vita per rimanere in vita. Il tuo mondo che si ripiega su se stesso come un cartina stradale di quelle che si comprano dal benzinaio...


Si ripiegano i miei viaggi in solitaria per strade polverose che hanno odori diversi da qui, il pane condiviso nella stessa ciotola con i bambini africani, l’acqua di fogna con quelli cubani e indiani. Si ripiega un amore dannato travestito da sogno romantico, irresistibile come tutti gli altri maledetti sogni. Il mio mondo da seppellire. La cartina stradale da sostituire. Strappo violento strappo. Mi si infila continuamente nella testa The winner takes it all degli Abba, note struggenti di un inverno salvato soltanto da una buona dose di ironia.


Poi, all'improvviso, mi risale dalla pancia ‘le mappe geografiche sono dentro di noi’ come scrive Silvera (I tappa del nostro viaggio). E allora alzo il culo con una fatica improba e vado in cerca, ancora una volta.

La wordmusic batte forte il ritmo dei miei nuovi passi incerti.


Quasi non ci credo... forse sto già capitando in una terra sconosciuta. Una terra da camminare senza più scottarsi così tanto i piedi. E per un attimo è pace.



Ingannevole è il cuore più di ogni cosa - T.J.Leroy

Il passeggero occidentale - Miro Silvera

www.lavitafelice.it