La incontro in una soffocante mattina di inizio estate. Mi ha cercata lei, ha letto un romanzo su cui ho lavorato parecchio, tempo fa. Mi scrive che ha assolutamente bisogno di me per discutere un progetto i cui contenuti le sono chiari, ma non le modalità della narrazione. 
Mi colpisce la sua semplicità, la silenziosa competenza che ci sta dietro. Quella di chi non ha bisogno di gonfiare niente.
E non so ancora chi avrò davanti.

Entra in casa mia goffa e trafelata (e io subito mi riconosco nei miei giorni più arruffati).
Entra.
Una ventata di aria buona, calda e avvolgente, energia pura che si sprigiona nelle stanze con la sua elettrica sferzata di indomabile follia. Fa la giornalista da tanti anni, e da altrettanti si occupa di mafia, di malaffari, di oscurità che attraversano la storia d’Italia. Sono il suo pallino, la sua ricerca della Verità, la sua palestra per imparare a spingersi oltre le mezze verità vendute al discount delle soluzioni comode per chi di domande non se ne fa mai. Palestra dura per allenarsi ad accettare che a volte non arrivi ad afferrarla, la Verità. E, dovessi anche riuscirci, non la potrai mai urlare come vorresti.
Eppure non smettere di cercarla resta un dovere. Il tuo.

Ha in testa di scrivere un libro particolare, e per questo chiede un confronto con me.
Io di mafia non so niente, ma non è questo il punto. Lei sa bene cosa vuole. Il punto è saper raccontare, trovare armonia/ritmo/suono giusti per dire ciò che ha da dire. Il punto è trovare la musica di parole che restituisca il senso della narrazione che le scorre dentro. Una che scrive da 30 anni ha l’umiltà di domandarsi come fare a trovarla... sei una rarità, sorella. Chapeau.
E allora ci parliamo, beviamo caffè e fumiamo una sigaretta dietro l’altra immaginando lo sviluppo del progetto, diamo voce a sensazioni e intuizioni, poi ci perdiamo in confidenze  sui nostri figli mentre camminiamo lungo il Naviglio come due mamme normali (che non siamo mai state). Buttiamo giù tracce e parole. Ci lasciamo qualcosa una dell’altra.
Poi silenzio. Ognuna per la sua strada.

Passa un anno e mezzo. Con un messaggio sul mio cellulare, Raffaella mi avverte della presentazione del suo libro Intervista a cosa nostra. E io mi emoziono come una bambina. Ce l’hai fatta, Raffaella Fanelli, ce l’hai fatta…
Arrivo alla conferenza stampa con lo stesso comico impaccio del suo primo approccio con me. So che ci riconosceremo a una rapida occhiata da lontano. Mentre prendo il suo libro tra le mani, la vedo là in fondo alla sala che parla - “la mafia non è questi quattro contadini... è ben altro…”, calma, padrona di sé, con quella sua semplicità densa di contenuti tangibili - davanti a una platea attenta, concentrata, reattiva.
Il suo progetto è cambiato (lei ha il coraggio del cambiamento, della rivoluzione) e si è esteso, ma non ha perso l’intenzione di fondo. Raccontare per andarci dentro. 
Niente paura. O meglio, il passo deciso per superarla. La paura.

Lo sguardo di una Donna sulla mafia non è quello di uomo, non può esserlo. E’ quello di una che potrebbe essere madre-sorella-figlia-amante di creature brutali.
E non se lo dimentica.
Così Raffaella porta nelle sue pagine un’anima diversa dal solito.

‘Quando il cellulare comincia a vibrare sul comodino sono già sveglia. Ormai ce l’ho dentro, come un impulso automatico alle cinque apro gli occhi.
Ho già l’ansia. E anche l’ansia per me è un’abitudine.
… La pioggia continua a cadere fitta, sto quasi per addormentarmi, con la testa china sulla spalla destra, quando sorpassiamo un camion con un’enorme foto della Madonna illuminata a festa da lucine intermittenti, simili a quelle degli alberi di Natale, e penso che sono passati tredici anni da quando ho messo piede l’ultima volta in una chiesa. Eppure, prima di un’intervista “complicata”, una preghiera ci scappa, quasi come una sorta di rito di riconciliazione.’

Ventitré interviste a pentiti, collaboratori di giustizia, uomini della mafia o a essa in qualche modo legati (gente come Angelo Provenzano, Salvo Riina, Licio Gelli), e poi i familiari delle vittime e il racconto di come li incontra/li vede lei.
Tutti sullo stesso piano. Tutti restituiti con quell‘impeccabile, delicato equilibrio tra necessario distacco da giornalista e adulto coinvolgimento da persona che ha davanti una persona. Lei sa entrare con il cuore nella loro vita in punta di piedi, senza farsi incantare, senza giudicare a priori. Perfettamente lucida.
Il focus è sul periodo delle stragi, quello della trattativa Stato-Mafia “che non si è mai fermata”, e su un processo ancora in corso “che non porterà a niente, o meglio non porterà alla condanna dei veri mandanti, perché a essere condannati saranno ancora una volta soltanto i boss mafiosi”.
Nessuna concessione scandalistica, solo conoscenza inattaccabile dei dati di fatto da vera cronista: nel libro non si sbandierano i nomi dei mandanti, ma si suggerisce per esempio chi all’epoca decise di fermare la corsa al Quirinale di Andreotti, o il perché Salvo Riina chiama lo studio legale di Schifani… Per chi non si accontenta delle mezze o false verità, son cose con un gran bel peso specifico.
Una ricerca seria, appassionata, vibrante. Ti lascia stordito, ti suscita domande che non ti eri mai posto. Lo sa bene Salvuccio, che ha subito chiesto il sequestro del libro, e non è una bella cosa scontentare uno che di cognome fa Riina. Ti regala parecchie notti insonni. Non è certo la medicina più indicata per l’ansia. L’autrice lo sa bene.
Eppure.

Quando ci parliamo a presentazione conclusa, Raffaella mi dice che oggi sta aspettando di poter intervistare la Primula Rossa, il latitante dei latitanti, il nuovo capo… Io, beata ignoranza, non so neanche di chi stia parlando, ma sostengo con tutte le mie forze questa sua passione, questa sua estrema professionalità, questo suo coraggio incosciente e puro che non la fa mollare mai. Nonostante - come tutte le anime indipendenti - non abbia il culo al caldo in qualche solida redazione dall’indirizzo sicuro.
E mi vengono in mente tutte quelle donnette e gli omuncoli di terza classe, ma provvisti di santi in paradiso, che se la tirano tanto perché hanno conservato la loro poltroncina più o meno comoda nei media dai nomi altisonanti, mentre gli altri arrancano nella giungla della crisi. E mi viene in mente la psicologa che mi sedeva accanto due settimane fa a una tavola rotonda sui libri come terapia, ambiziosa ragazzona senza la minima esperienza sul campo, che tuttavia si sa vendere così bene ai giornali da averne intortati già almeno un paio  (ma il pubblico, no, quello non si può intortare, sorry darling).
E’ un mondo tutto alla rovescia.
Però poi.

Leggo i ringraziamenti in testa a Intervista a cosa nostra e ritrovo quella pulizia del cuore, quel senso di gratitudine profonda che abita solo nelle anime grandi. E nei veri professionisti.
E allora, Raffaella Fanelli, strampalata creatura in cerca della sua wordmusic, volevo dirti…    
le hai trovate, le parole che cercavi, le hai trovate. La tua musica suona chiara e forte. Come sei tu.

Intervista a cosa nostra – Raffaella Fanelli (Edizioni Anordest)